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Pubblicato il 1 Dicembre 2019 | Ultima modifica il 15 Settembre 2020

Dolore

Da cosa dipende la nostra soglia del dolore? Ce lo dice la genetica

La IASP  (International Association for the Study of Pain), la società scientifica internazionale che si occupa di dolore, definisce il dolore come “un’esperienza sensoriale ed emozionale spiacevole associata a danno tissutale, in atto o potenziale, o descritta in termini di danno”.

Secondo questa definizione, il dolore è quindi un’esperienza risultante da una componente percettiva (nocicezione) legata alla trasmissione dello stimolo doloroso al cervello, e da una componente legata all’esperienza individuale, ovvero dal modo in cui il soggetto percepisce e sperimenta la sensazione del dolore secondo limiti individuali che stabiliscono la così detta soglia del dolore.

Forme di dolore

Nel suo significato più fisiologico, il dolore acuto o transitorio è un modo per riconoscere situazioni, esterne o interne all’organismo, che sono pericolose per la sua integrità. E’ pertanto un meccanismo di difesa, che si è raffinato nel corso dell’evoluzione e che contribuisce alla sopravvivenza, proteggendo l’individuo da fattori lesivi e promuovendo la guarigione quando una lesione è comunque sopravvenuta.

Ad avvalorare il significato e l’importanza del dolore acuto come meccanismo di difesa, è l’esistenza di una rara situazione clinica, geneticamente determinata, in cui il soggetto che ne è affetto non percepisce e non distingue gli stimoli dolorosi: si tratta della congenital insensitivity to pain (CIPA), ovvero insensibilità congenita al dolore con anidrosi. Tale condizione fu descritta per la prima volta negli anni ‘50 del secolo scorso. Il quadro clinico si presenta già in età precoce e il soggetto affetto non manifesta alcuna soglia del dolore, in quanto esiste una totale mancanza del segnale d’allarme rappresentato dal dolore, provocata dal protrarsi di eventi traumatici anche gravi. La causa genetica della CIPA consiste nella presenza di un recettore anomalo per i fattori di crescita nervosa, per cui già alla nascita si arresta lo sviluppo dell’apparato nervoso deputato alla percezione del dolore.

Quando protratto nel tempo, il dolore diventa cronico, perde la sua funzione di “allarme“ e provoca nel paziente una serie di cambiamenti fisici, psicologici e sociali. Il dolore cronico è quindi espressione di processi patologici che s’instaurano a livello del sistema nervoso, sia periferico sia centrale, e che sono in grado di determinare dolore. Tale esperienza è spesso grave, ripetitiva, priva di finalità, risponde male ai trattamenti e diventa, a sua volta, una forma di malattia.

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Soglia del dolore e dna

Secondo una ricerca presentata al meeting dell’American Academy of Neurology già nel 2014, la percezione del dolore dipende da quattro geni: COMT, DRD2, DRD1 e OPRK1. Questa scoperta permette quindi di spiegare il perché della variabilità individuale della soglia del dolore.

I risultati in questione sono stati ottenuti nel corso di uno studio clinico randomizzato, condotto dal team del Dr. Tobore Onojjighofia, Clinical Affairs Manager dell’azienda Proove Bioscence ed esperto in medicina personalizzata, in cui i ricercatori hanno valutato alcuni geni in 2.721 individui con diagnosi di dolore cronico e in cura con farmaci oppioidi.

Ai partecipanti è stata misurata l’intensità della sindrome algica, chiedendo loro di classificare la percezione del dolore su una scala da 0 a 10. I soggetti che hanno valutato il dolore come zero, sono stati esclusi dallo studio. Gli altri partecipanti, sono stati suddivisi nei seguenti tre gruppi sperimentali, in base alle loro risposte: 1) percezione del dolore “bassa”, definita con un punteggio da uno a tre; 2) percezione del dolore “moderata”, definita con un punteggio da quattro a sei; 3) percezione del dolore “alta”, definita con un punteggio da sette a dieci.

I risultati hanno dimostrato che il 9% dei partecipanti riferiva una bassa percezione del dolore; il 46% manifestava una percezione del dolore moderata, e infine, il 45% dei soggetti riportava un’alta percezione del dolore.

Dall’analisi incrociata dei dati, è emerso che la variante del gene DRD1 è espressa in maniera significativamente prevalente negli individui del gruppo 1) ossia quelli con bassa percezione del dolore, rispetto ai soggetti del gruppo 3) che riferivano un’elevata percezione del dolore (33% di differenza). Tra i partecipanti con una percezione del dolore moderata, le varianti geniche di COMT e OPRK erano per il 25% e per il 19% più frequenti rispetto a quelli con una percezione alta del dolore. Infine, la variante del gene DRD2 era del 25% più comune tra quelli con una percezione alta del dolore, rispetto agli individui con percezione del dolore moderato.

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Quali sviluppi dallo studio?

Ma non è tutto. I risultati di uno studio pubblicato sull’autorevole rivista scientifica Nature Communications, hanno riportato che anche i gemelli, che condividono il 100% dei geni, hanno diverse soglie di dolore che potenzialmente possono essere modificate dallo stile di vita o dall’assunzione di farmaci. Secondo i ricercatori esiste quindi un vero e proprio controllo genetico sulla sensibilità al dolore.

Numerose sono, infatti, le evidenze scientifiche che indicano il coinvolgimento della regolazione epigenetica sia per lo sviluppo, sia per il mantenimento degli stati di dolore. Tra i meccanismi di controllo epigenetico, la metilazione del DNA è rilevante per la regolazione dell’espressione genica, per l’imprinting genomico, per lo sviluppo e la stabilità genomica. Analisi epigenetiche di gemelli identici che mostrano risposte a stimoli discordanti possono fornire informazioni importanti, ma la potenza di quest’approccio non è stata ancora testata su grandi numeri e ad alta risoluzione.

A tale scopo gli scienziati del “Department of Twin Research and Genetics Epidemiology”, King College (Londra) hanno condotto uno studio su gemelli identici, che condividono il 100% dei loro geni, per individuare quelli coinvolti nella sensibilità al dolore.

Nello specifico sono state testate 25 coppie di gemelli identici utilizzando una sonda di calore posizionata sul braccio, allo scopo di identificare i livelli di sensibilità al dolore. Ai partecipanti è stato chiesto di premere un pulsante quando il calore diventava doloroso; ciò ha permesso di determinare la loro soglia del dolore.

Mediante il sequenziamento del DNA, i ricercatori hanno poi esaminato l’intero codice genetico dei gemelli, confrontandolo con quello di 50 individui non imparentati. I risultati mostrano cambiamenti di metilazione del DNA all’interno di nove regioni genomiche coinvolte nella sensibilità al dolore che sono differenti in un gemello, ma non in sua sorella (o fratello) identica(o). Tali cambiamenti sono più significativi nel promotore del gene del canale ionico TRPA1, noto sensore termico nei mammiferi, che può essere regolato dall’interazione con il termo-sensore TRPV1. I ricercatori hanno quindi mostrato la presenza di una regione metilata di DNA che funziona da regolatore localizzata in una sequenza CpG del promotore TRPA1; tutto ciò può avere un impatto sull’espressione genica del TRPA1 e sulla sensibilità termica. Similmente, sono state trovate altre regioni e altri geni regolati che possono influire sulla differente sensibilità al dolore come ad esempio il gene ST6GALNAC3 e il gene MICAL2.

Infine, le differenze genetiche, in senso ampio, possono non soltanto caratterizzare la diversa soglia di dolore, ma appaiono anche in grado di differenziare la risposta alla terapia analgesica. Il genere femminile, ad esempio, mostra una più modesta soglia per il dolore, così come nelle etnie ispaniche è documentata una maggiore prevalenza del dolore cronico, rispetto alle popolazioni non-ispaniche. Il tener conto di tali peculiarità è essenziale nella scelta di un eventuale piano terapeutico volto al trattamento di un paziente con dolore.

Fonti

Classification of chronic pain descriptions of chronic pain syndromes and definitions of pain terms. Second Edition, prepared by the Task Force on Taxonomy of the International Association for the Study of Pain. Editors: Harold Merskey, DM; Nikolai Bogduk, MD, PhD. 1994 IASP Press (Reprinted 2002) International Association for the Study of Pain.

Tobore Onojjighofia; Brian Meshkin; Si Van Nguyen; Dan Schwartz; Bilikis Akindele; John Hubbard; Derrick Holman; Juetong Chen. Perception of Analgesia in Narcotic Users with Chronic Pain: A Multi- Center Cross-Sectional Study Comparing Genotype to Pain VAS (P.A.I.N. Study). American Academy of Neurology’s 66th Annual Meeting, 30 April 2014.

Bell JT, Loomis AK, Butcher LM, Gao F, Zhang B, Hyde CL, Sun J, Wu H, Ward K, Harris J, Scollen S, Davies MN, Schalkwyk LC, Mill J; MuTHER Consortium, Williams FM, Li N, Deloukas P, Beck S, McMahon SB, Wang J, John SL, Spector TD. Differential methylation of the TRPA1 promoter in pain sensitivity. Nat Commun. 2014;5:2978. doi: 10.1038/ncomms3978.

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